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sabato, 2 Novembre 2024

Il nostro modo diverso di ricordare il 25 aprile. Serata ricca di contenuti nell’incontro organizzato da “Villafranca Domani” con Mario Renosio, direttore dell’Israt

CHI HA TRADITO LA RESISTENZA?

“Chi ha tradito la Resistenza?”. Questa è la domanda che ci siamo posti nel dibattito organizzato da “Villafranca Domani” lo scorso 28 aprile. Oltre due ore di confronto con Mario Renosio, seguito in modo attento da un pubblico di una quarantina di persone. Renosio è il direttore dell’Istituto per la Storia della Resistenza di Asti, ente che già in diverse altre occasioni ha partecipato a nostre iniziative. Vanessa Gasparin ha accompagnato la serata cantando “Povera Patria” di Battiato, “Io non mi sento italiano” di Gaber e un brano scritto da lei, di cui vi invito a rileggere il testo perché contiene riflessioni che dimostrano come i giovani possono essere soggetti attivi della società. Daniele Barcaro ha accompagnato Vanessa alla chitarra, ha curato tutta la parte tecnica ed ha dato inizio alla serata leggendo una testimonianza sugli anni della guerra di Domenico Berta, cantaranese scomparso nel 2013.

la canzone di Vanessa Gasparin

Cosa è successo dopo la fine del conflitto? Qual’era il contesto storico nel quale l’Italia avviava la ricostruzione? Da quel periodo, sono rimaste questioni irrisolte che ci hanno condizionato fino ad oggi?

Con Alfredo Castaldo, ho fatto la parte introduttiva.

VOLPE

Siamo una nazione mal governata? Perché lo accettiamo? Perché siamo così? La politica non ci piace ma continuiamo a credere a chiunque faccia promesse. Nella nostra storia ci sono sempre piaciuti gli uomini del destino. L’uomo solo al comando che risolverà tutto. Oggi, visto che siamo nella società dell’immagine, ci piace che faccia spettacolo e magari si presenti come un simpaticone. Solo una minoranza scende ancora in piazza a protestare in favore delle idee. Però la tentazione di aspettare che ci sia il sole è forte. E tuttavia col sole è meglio andare al mare. Erano minoranza anche quei ragazzi, uomini e donne, giovanissimi, che nel ’43 – ’44 salirono in montagna per opporsi al nazifascismo. Che fine hanno fatto le loro idee? Avevano scelto di combattere, a prezzo di mille sacrifici e della loro stessa vita. Morirono in 45 mila. Non erano “uguali agli altri”, come oggi vogliono farci credere quelli che pretendono di riscrivere la storia in nome di una presunta pacificazione che vuole far dimenticare le responsabilità. Dimenticare la storia serve a cancellare le idee. C’era differenza tra scegliere di andare in montagna a combattere con poche armi e pochi mezzi o schierarsi con i fascisti, sostenuti dall’alleato nazista. Bisognava scegliere di sacrificarsi per la speranza di una democrazia diretta, gestita da una nuova classe dirigente, profondamente diversa da quelle che l’avevano preceduta perché capace di spezzare quella che Giorgio Bocca chiamava “crosta sociale”. Rompere quell’equilibrio, mascherato da ordine e convenienza, che impedisce a qualsiasi comunità, piccola o grande, di far emergere le sue forze sane e vitali, condannandola all’immobilità ed alla perversa difesa dei privilegi. La Resistenza è stata movimento capace di far convergere su di se un consenso popolare vero? Cioè quell’elemento fondamentale per avere la meglio sulle armi più potenti? O è rimasta movimento di pochi? Magari con un consenso popolare nell’ultima parte del conflitto quando la sconfitta dell’avversario appariva ormai chiara? E magari per questa sua debolezza ha subito una normalizzazione voluta dagli alleati per avere l’Italia nel blocco anti comunista? Lo spirito della Resistenza si è tradotto nei principi contenuti nella Costituzione ma non in un risultato politico capace di cambiare profondamente il sistema nel dopoguerra. Ma intanto le istituzioni a tutti i livelli celebrano la Resistenza ogni anno con manifestazioni spesso retoriche e svogliate che non dicono più nulla, in particolare ai giovani.

CASTALDO

Oggi la politica è in profonda crisi ma senza di essa, di quella seria, siamo tutti più deboli. La politica evita che ci facciamo la guerra perché media sui conflitti. Era il 1955 quando Piero Calamandrei, uno di quelli che la Costituzione ha contribuito a scriverla, diceva citandola: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo <L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro> corrisponderà alla realtà”. Oggi abbiamo la disoccupazione al 12,7%. Quella giovanile al 42,6%. Siamo ai massimi. Diamo valore al lavoro? No, togliamo redditi e diritti. Mandare un figlio all’università costa dai 20 ai 30 mila euro. Pensate sia facile per chi guadagna 1500 euro al mese o anche meno? L’evasione fiscale in Italia pesa il 30% del prodotto interno lordo. I danni provocati dai cosiddetti “furbi” sono enormi e si scaricano sul cittadino onesto che paga le tasse anche per gli altri e deve mandare il figlio all’università o mantenere un genitore in casa di riposo perché ha una pensione da fame. Ma oltre l’80% dell’irpef arriva da dipendenti e pensionati. Questo è rimuovere gli ostacoli? No. È il conflitto sociale. Si è aperta una differenza sempre più ampia tra i bisogni dei cittadini normali e la capacità di rappresentarli nelle istituzioni. Perché? Tante questioni aperte.

L’Italia non ebbe la sua Norimberga. Nessun processo al regime che avrebbe comportato il processo ad un’intera nazione e ad almeno 20 anni della sua politica e della sua cultura. Vent’anni dove era nata una generazione che si era formata sotto il fascismo e non aveva conosciuto altro. E di questo paghiamo le conseguenze ancora oggi perché non abbiamo mai fatto i conti con il nostro passato. Significativa a tal proposito la parabola del Partito d’Azione, formazione di ispirazione mazziniana, sostenitrice dell’equità sociale ed europeista. Il Partito d’Azione fu molto attivo nelle formazioni partigiane ma si sciolse nel ’47, avendo raccolto solo un modestissimo consenso elettorale. Mussolini ed i gerarchi vennero fucilati senza processo per segnare, anche in modo simbolico, la fine delle guerra. Mario Renosio è stato molto esplicito nella sua valutazione di storico, attento all’attualità.  Perché? Le potenze alleate volevano la normalizzazione. L’Italia doveva far parte della zona di influenza americana. Il mondo andava verso la guerra fredda. Il governo e la classe politica si sono nella sostanza adeguati. I partiti portano la responsabilità di aver tradito lo spirito della Resistenza. Anche lo stesso Pci. Una Resistenza che era stato un movimento di riscatto di popolo ma era stato vissuto in modo pieno, e combattente, solo da una minoranza e comunque si era sviluppato solo nel nord e, in parte, nell’Italia centrale. Nei mesi successivi al termine del conflitto, non venne realizzata l’epurazione degli elementi fascisti nell’organizzazione dello Stato. In molti rimasero al loro posto. Anche i processi, nella maggior parte dei casi finirono nel nulla. Poche condanne e anche i pochi finiti in carcere tornarono liberi in breve tempo, anche grazie all’amnistia. C’era sicuramente malcontento in chi aveva combattuto per come si stava evolvendo la situazione politica ma la normalizzazione proseguì senza particolari difficoltà. Ci furono episodi di rivolta. Nell’astigiano quella di Santa Libera, dove la rimozione di un comandante partigiano dai vertici della polizia locale fu preso a pretesto da un gruppo di ex partigiani per riprendere le armi nell’agosto ’46. Episodi isolati e alla fine modesti. I rivoltosi di Santa Libera rivendicarono migliori trattamenti per gli ex partigiani. Cosa sarebbe potuto capitare se la rivolta si fosse estesa? Non dimentichiamo che in Grecia c’era in corso una guerra dove gli alleati combattevano contro i partigiani comunisti.

Ci furono le vendette? Si, anche nell’astigiano. Non furono “solo” i partigiani comunisti. Tutti, in qualche modo, ne furono responsabili. Renosio ha ricordato che il conflitto non è finito il 25 aprile ’45 ma alcuni giorni dopo. Torino venne liberata il 28. Milano il 29. La resa delle truppe tedesche in Italia arrivò quello stesso giorno. Ancora tra il 30 aprile e il 2 maggio si consumava nel vicentino una strage di civili ad opera dei tedeschi in ritirata. Ha invitato a non dimenticare qual’era il clima di quei giorni. Si stava uscendo da una vera guerra civile. Era normale il clima difficile con desideri di vendetta da parte di chi aveva subito, nei mesi precedenti, vessazioni o lutti a causa dei tedeschi e dei fascisti. Le forze alleate lasciarono la possibilità che le vendette si consumassero: una quindicina di giorni di mano libera per consentire che la situazione si sfogasse da sola. Il revisionismo della storia operata da Pansa, che cita solo casi di vendetta ma senza contestualizzarli nel clima e nelle responsabilità, è un profondo errore che falsa quanto successo.

LE DIFFICOLTA’ DELL’ISRAT

Rispondendo ad una domanda di Giacomo Maffé, Renosio ha ricordato le incertezze in cui versa Istituto per la Storia della Resistenza di Asti, ente di cui sono soci una cinquantina di Comuni astigiani e la Provincia. L’Israt è il lavoro di due persone, lui e Nicoletta Fasano, che da sole, con poche risorse, portano avanti un lavoro di recupero della memoria che ha prodotto la pubblicazione di decine di libri e svariati eventi. Personalmente, ho ricordato che il Comune di Villafranca, sotto l’amministrazione Padovani, voleva uscire dall’Israt. Scelta che non si concretizzò anche per la nostra opposizione. Ho poi aggiunto che sarebbe un gesto positivo che la nuova Unione “Colli del Monferrato” aderisse all’Istituto.

Le nostre conclusioni.

CASTALDO

Abbiamo toccato tanti temi. Non basta questa serata per esaminarli tutti come sarebbe necessario. Questo lo sapevamo. Propongo a Mario Renosio di continuare questa riflessione su quanto è successo dopo la fine del conflitto, magari approfondendo la storia dei partiti e del movimento operaio, senza trascurare l’influenza della Chiesa e dei movimenti cattolici, anche in riferimento ad Asti e provincia. Fra qualche mese, se vorrai, continueremo questo dibattito. Possiamo comunque mettere qualche punto fermo. Siamo una democrazia incompiuta? Si, lo siamo. Credo che questa serata ci abbia insegnato che ogni popolo deve fare i conti con il suo passato. Sia a livello di nazione, sia a livello di territorio. L’Italia non lo ha fatto. Non abbiamo il senso del bene comune. Nel ’40 siamo entrati in guerra convinti di avere l’impero e di vincere facile. Anni di regime avevano addomesticato le coscienze. E l’abbiamo pagata cara. Poi una prima repubblica che ha insabbiato i conti con il fascismo con le amnistie. Nel ’94, alla procura militare di Roma viene ritrovato l’armadio “della vergogna” (così chiamato perché era rimasto 50 anni con le ante contro il muro) che conteneva una notevole mole di documenti sulle violenze fasciste e naziste. Mezzo secolo che evita i processi. Una prima repubblica proprio in quell’anno franata sugli scandali di chi rubava per il partito. Ma l’indignazione di quei giorni viene dimenticata in fretta. E arriva l’attuale seconda repubblica, dove mai come in passato la politica è screditata nella percezione delle persone ma mai come oggi è usata per avere vantaggi personali. O solo per una parte a danno delle altre. Una politica che ha fatto patti con la mafia anche nei piccoli paesi, ma si sa, è meglio non parlarne. O dove manganellare chi manifesta pacificamente fa meno scalpore di una rissa allo stadio. Ricordate Genova e il G8? O l’esercito per no tav? Altro che cercare la sintesi tra le diverse opinioni. Arriverà la terza repubblica? Ormai ci siamo. Con una comunicazione che non deve far sapere per non disturbare il potente. Con pochi segretari di partito che si scelgono un Parlamento che deve solo ratificare le decisioni di chi governa. Non ci ricorda la camera dei fasci e delle corporazioni? Ma intanto, questa politica ti fa sentire in colpa se difendi i diritti sociali perché ti vuole convincere che non ce li possiamo più permettere. E consente a pochi di arricchirsi senza misura.

VOLPE

Generazioni sono cresciute avendo come ideale di vita personaggi, più o meno importanti, senza la cultura dell’impegno civile. Quella cultura che va insegnata e praticata ogni giorno con l’esempio dei fatti e la dedizione. A partire dalle piccole cose. Dovrebbe farci indignare che tanti, giovani o con qualche anno in più, non sappiano cos’è il 25 aprile e cosa sia scritto nella Costituzione.  Nell’era della comunicazione globale, dove se parlate con qualcuno questo manco vi ascolta perché ha la testa sempre su facebook, dovrebbe farci preoccupare che nessuno glielo abbia insegnato. Mi piacerebbe che ogni giovane leggesse “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana”. E’ un libro di sessant’anni fa ma è pieno di umanità e di attualità. Dovrebbe essere un libro di testo nelle scuole. Uno Stato funziona se gli abitanti fanno funzionare il loro Comune o il loro quartiere. Se credono nella religione del dovere civico che porta all’assunzione di responsabilità. Se sapranno occuparsi di chi è più debole perché ha perso il lavoro, è anziano, straniero o malato. Di futuro, facendo scelte per una scuola che sia luogo di incontro e di crescita. Se difenderanno l’ambiente dove vivono. Se sapranno far pagare le tasse a tutti anche se non porta consensi facili. Se sapranno accettare chi la pensa diversamente come una ricchezza e non come un soggetto divisivo da emarginare. Se smetteranno di dare deleghe in bianco al sindaco, all’onorevole o al consigliere regionale, a chiunque occupi una carica, chiedendogli conto dei suoi comportamenti, anche di quelli che non costituiscono reato ma vanno contro l’etica. Se daranno fiducia alla passione e alla competenza e non il voto perché lo chiede l’amico. Se cercheranno soluzioni nel livello dove possono far cambiare le cose, senza aspettare che ci pensi qualcun altro. Quegli abitanti dovranno pensarci loro, in prima persona. Non altri. Credo che la Resistenza di oggi parta da qui. Da una rinnovata voglia di lottare e di partecipare. Ci siamo dentro tutti. Non farlo, significa far vincere il fascismo che non è stato cancellato il 25 aprile ’45 ma ci ha sempre accompagnati. Significa non comprendere che c’è differenza tra fascismo e antifascismo. Una differenza ancora tutta attuale. Come diceva Vanessa nella sua canzone, se riflettere su questo è proibito o sbagliato, allora questa sera abbiamo peccato.

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