Federico Fornaro è tornato a Cantarana per presentare il suo ultimo libro “Giacomo Matteotti – L’Italia migliore” (edito da Bollati Boringhieri). L’appuntamento è stato voluto da “Villafranca Domani”, dalla Biblioteca di Cantarana “Ezio Pavia” e dalla Biblioteca di Dusino San Michele. Purtroppo, questa volta il pubblico è stato modesto. Appena una quindicina di persone. La concomitanza di altre iniziative nella zona non ha favorito le presenze.
Ringrazio il Comune di Cantarana, nella persona del sindaco Roberta Franco, per la disponibilità e l’attenzione che ha sempre mostrato verso le nostre proposte. Un grazie anche a Mario Renosio, ex direttore scientifico dell’Istituto per la Storia della Resistenza di Asti, che, dialogando con l’autore, ci ha accompagnato nel conoscere la figura di Giacomo Matteotti. Renosio ci aiuta nelle nostre iniziative di cultura politica da molti anni.
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CHI ERA GIACOMO MATTEOTTI?
Giacomo Matteotti nasce a Fratta Polesine (Rovigo) il 22 maggio 1885. Muore a Roma il 10 giugno 1924, rapito e assassinato da una squadra di fascisti. È onorevole e segretario del Partito Socialista Unitario, costituito dopo una scissione del Partito Socialista Italiano al congresso di Roma dell’ottobre 1922.
L’odio fascista contro Matteotti nasce proprio nel Polesine, teatro dell’alluvione del 1882, la prima grande calamità naturale dell’Italia unita. Il Polesine è rimasto un territorio povero. Vi regnano miseria, malattie, analfabetismo. Matteotti è odiato perché, pur essendo di famiglia benestante, proprietaria terriera, sceglie di mettersi con i più deboli. È un socialista anomalo oltre a essere un politico molto diverso per la sua epoca. Concreto con i suoi ideali. Non usa mai la retorica, a differenza di Mussolini e del fascismo. Per questo, il dittatore lo ha sempre patito.
LE SUE IDEE
L’origine del suo impegno politico parte dalla sua comunità. Da quei piccoli Comuni dove si fa eleggere e dove organizza una scuola di politica per insegnare ai compagni di partito come si gestisce un bilancio. Fa politica con competenza, preparando e studiando gli argomenti che deve trattare.
È un pacifista e antimilitarista. Quindi si schiera contro la guerra per la conquista della Libia e contro l’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale. Per Matteotti non esiste la guerra “patriottica”. E’ sempre un’aggressione pagata con sangue e sacrifici dal popolo.
Crede nella giustizia sociale, da attuare anche con una tassazione progressiva. Per primo, ha una visione politica europeista perché crede che un continente fatto di piccole patrie porti in sé il germe della guerra.
E’ contro il fascismo in modo intransigente. Non si possono fare accordi con chi uccide la democrazia con l’uso sistematico della violenza. A fine febbraio 1924, pochi mesi prima della sua morte, venne assassinato dai fascisti un candidato socialista alle elezioni politiche, Antonio Piccinini, di Reggio Emilia. Malmenato, appeso a un gancio da macellaio, finito a colpi di pistola e appeso a un albero vicino alla ferrovia come monito per gli operai pendolari che arrivavano con il treno. Nonostante questo, nel seggio gli operai lo votano lo stesso fino a farlo risultare eletto. Uno dei tanti morti di quegli anni, dei quali si è persa memoria.
Matteotti comprende prima degli altri la natura eversiva del fascismo ma capisce i motivi della sua nascita, identificati nelle tensioni del biennio rosso (1919-1920). Lo dice già nel 1921. Non esita a mettersi contro anche quella parte di sindacalismo e di socialisti che non vedevano male l’idea di un compromesso o, peggio, di una collaborazione con il nuovo regime. Nello stesso tempo, sa che la rivoluzione russa non può essere replicata in Italia, in un contesto totalmente diverso. Le masse vanno preparate e deve crescere la loro consapevolezza. La rivoluzione sono i Comuni che portano nel Polesine acqua e luce per tutti.
E’ moderno perché ritiene che lo Stato debba tutelare la legalità e il libero confronto politico. La figura di Matteotti ci fa capire quanto sia pieno di falsità il tentativo odierno di riscrivere la storia del ventennio. Vogliono farci credere che il fascismo sia stato una dittatura da operetta che, alla fine, aveva fatto cose buone.
Il suo omicidio è un delitto di Stato. Non ci sarà mai la prova regina che indichi con assoluta certezza il mandante. Tuttavia, il processo farsa ai suoi assassini, il tanto denaro e le protezioni che il regime accordò loro nel tempo sono fatti accertati. È evidente che con la sua intransigenza, la sua tenacia e la sua attività parlamentare e di segretario del partito, Matteotti poteva ostacolare il fascismo. Magari con la denuncia di un pesante buco nel bilancio statale e di una possibile maxi tangente a favore di Arnaldo Mussolini per le concessioni petrolifere di estremo favore date alla Sinclair Oil. Con l’omicidio, il fascismo ha un momento di crisi profonda ma si salva grazie ancora una volta all’inerzia del Re, sostenuta dal voto di fiducia a Mussolini del Senato. Anche Benedetto Croce dice si al fascismo. Il 3 gennaio 1925, parlando alla Camera, Mussolini pronuncia il suo famoso discorso di arrogante rivendicazione della violenta rivoluzione fascista.
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MATTEOTTI: RISCOPRIAMO IL SUO VALORE ETICO E POLITICO
Credo che il libro di Fornaro vada letto. Le idee di Matteotti, se confrontate con l’epoca attuale, mettono ancora di più in evidenza la mediocrità della politica di oggi. Dal livello locale a quello più alto. Impegno, militanza, rispetto della cosa pubblica, legalità, rifiuto della guerra, libertà di espressione, mettersi dalla parte dei più deboli per dare a tutti opportunità, una visione di Europa: sono valori che Matteotti ci ricorda. Sono i valori della Costituzione repubblicana. Riscopriamoli. Facciamoli conoscere ai giovani con esempi positivi. Possiamo ancora recuperare? Credo di si ma c’è sempre meno tempo a disposizione. I sintomi della malattia ci sono tutti. Il disimpegno dalla politica, a partire da quella dei nostri paesi. L’astensionismo da voto, giustificato con comodo alibi di che tanto sono tutti uguali. I partiti “personali”. A qualsiasi livello, si cercano “leader”. Fanno immagine e tolgono la responsabilità di pensare e di agire. La politica per fare interessi privati e clientelari, senza moralità. La mancanza di una vera informazione. L’uso dei social e dei mezzi di comunicazione per “manganellare” l’avversario politico, screditandolo, come ha ricordato durante l’incontro Daniele Barcaro. L’economia che governa la politica mentre dovrebbe essere governata dalla politica. La riabilitazione del fascismo che non preoccupa più.
Se la parte buona della società si ritira, lo spazio viene occupato dal peggio.