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lunedì, 29 Aprile 2024

Lo stato taglia i soldi al Comune

CAMBIARE O CONDANNARSI AL DECLINO

62 mila euro in meno di trasferimenti statali: ecco quanto ci siamo trovati a discutere nel consiglio comunale del 31 luglio. Un taglio che si somma a quello di quasi 54 mila dello scorso anno. In entrambi i casi, soldi in meno motivati dall’introduzione dell’Imu sui terreni agricoli, voluta dal governo alla fine dello scorso anno. Meno soldi dallo Stato perché i Comuni hanno a disposizione un tributo in più. Senza nemmeno sapere quanto questo tributo renderà: almeno a Villafranca. Il classico gioco di tutti i  governi che si sono avvicendati in questi anni: trasferire in periferia la pressione fiscale. Tralasciamo le ennesime promesse da campagna elettorale fatte nei giorni scorsi dal capo del governo di togliere le tasse locali e di ridare soldi ai Comuni. Ammesso che lo faccia veramente, dove li prenderà? Da qualche altro taglio alla sanità pagato dalle tasche dei cittadini? Domande che meriterebbero risposte ma questa, però, è un’altra storia.

ASPETTARE O AGIRE?

Il problema dei Comuni è come difendersi dalla costante riduzione delle risorse che lo Stato opera ai loro danni. Cosa fare? Qualcuno dirà “non possiamo farci niente”. Noi di “Villafranca Domani” pensiamo che la risposta concreta siano le Unioni e le successive fusioni. Unire i piccoli Comuni, e siamo tutti piccoli nell’astigiano, per poi fonderli. Questo è quanto chiedevamo per la Valtriversa, che continuiamo a considerare l’ambito territoriale corretto, e questo è quanto chiediamo per la “Colli del Monferrato” tra Villafranca e Baldichieri. Comuni più grandi e più forti che sappiano fare rete con enti e volontariato che lavorano sul loro territorio. Alternative? Nessuna. A meno di adattarsi a vivere nell’indecisione e nell’immobilismo, facendo finta che tutto vada bene.

LE RESPONSABILITA’ DELLA CLASSE POLITICA

Bisogna superare le strutture ottocentesche dei nostri Comuni? Si. Bisogna attrezzarli, anche culturalmente, per la produzione di servizi per il cittadino e non come strutture burocratiche che si perdono dietro la “carta”? Si. Serve un cambiamento tutt’altro che facile. E’ una sfida notevole che richiede tempo e lavoro. Per vincerla, serve una classe politica preparata e capace di una visione di zona che sia avanti di almeno 10 – 15 anni. Non che guardi indietro, rimpiangendo il comodo passato dove fare il sindaco voleva mettere il lampione vicino a casa dell’amico o fargli il favore di rendergli edificabile il suo terreno. Preparare una classe politica però non si improvvisa. Servono amministratori che abbiano voglia di studiare, occasioni di confronto che diano alla gente il modo di valutare le diverse opinioni per scegliere in modo consapevole e non per simpatia, spazio reale ai giovani e alle loro idee.

I COMUNI POSSONO DARE RISPOSTE VELOCI

I Comuni sono il primo presidio del territorio. I più vicini ai problemi dei cittadini. Se gli enti locali tornano ad avere un ruolo di peso, ma devono volerlo e aver voglia di osare, possono dare risposte che partono dal basso e quindi più rapide.  Magari facendo risparmiare ai cittadini tempo e soldi o dando loro qualche servizio in più. O permettendo loro di vivere in un ambiente più curato. I Comuni hanno un patrimonio enorme di informazioni, strutture, persone, mezzi. Un capitale diviso in tanti piccoli municipi, tutti presi da sempre nel fare le stesse cose, spesso burocratiche e con sistemi vecchi, spesso con regole diverse che disorientano i cittadini. Risultato? Ogni Comune ha duplicato nel suo piccolo strutture che oggi sono sempre più inadeguate. Serve avere municipi a breve distanza che fanno le stesse cose? Una squadra di cantonieri che lavora insieme non potrebbe fare di più del singolo uomo che lavora da solo? Un ufficio ben attrezzato non potrebbe lavorare per più paesi? Paesi che sono a pochi minuti l’uno dall’altro. Ci va meno tempo per andare da Villafranca a Baldichieri e viceversa che andare in centro a Torino. Questo capitale a disposizione degli attuali Comuni va condiviso mettendo in pratica un concreto sostegno reciproco tra paesi e non rapporti formali e tesi gestiti con il bilancino del ragioniere.

L’ATTUALE SISTEMA DEI PICCOLI COMUNI NON HA FUTURO. PROVIAMO A CAMBIARE

Sento spesso l’osservazione che la gente non è più attaccata al proprio paese. Che un posto valga l’altro. In un mondo che cambia velocemente, forse troppo, è vero. Le comunità non sono più quelle storiche. Il tessuto sociale si modifica in fretta. Nel tempo, sono aumentati gli stranieri. Sono pochi i fortunati ai quali il paese offre opportunità di lavoro. Spesso bisogna spostarsi per trovarle. Le famiglie sono sempre più piccole e frantumate: faticano a curare giovani e anziani perché non hanno più la possibilità di essere il primo ammortizzatore sociale della nostra storia. Non hanno tempo e soldi perché chi ha un lavoro è costretto a lavorare di più per guadagnare meno. In sintesi, il tessuto sociale non è più quello consolidato della società statica, di matrice contadina e borghese che ancora quelli della mia generazione si ricordano. Quale futuro possono offrire ai giovani i nostri paesi? Quali attenzioni alle famiglie? Quali garanzie agli anziani? Oggi, sempre meno. Far diventare i Comuni più forti non vuol dire adempiere con fastidio ad un obbligo di legge di aggregare i servizi. Obbligo che tanti amministratori comunali pensano di risolvere votando qualche delibera ma evitando con cura di cambiare veramente, magari per diffidenze reciproche, come si è visto in Valtriversa, o con la scusa di difendere il campanile. Non significa cercare solo risparmio: cosa comunque necessaria e utilissima, visto il periodo economico.  Significa prima di tutto volere un salto di qualità culturale. Cercare soluzioni alla nostra portata per gestire questi problemi perché nessuno verrà a risolvercerli dall’alto. Dobbiamo pensarci noi tutti se vogliamo bene al posto dove viviamo. Mettere insieme i Comuni non vuol dire “sommare” uffici e strutture per continuare a far finta che tutto cambi anche se tutto rimane come prima. Vuol dire riorganizzare tutto con obiettivi di portata maggiore. I miglioramenti possibili sono tanti.

QUALI?

Ne cito alcuni. Mettere insieme i cantonieri non servirebbe a curare di più le manutenzioni, di cui c’è bisogno in tante situazioni? Io credo di si.  Con risparmi sugli appalti esterni. Creare uffici dove sia normale che i cittadini possano fare le proprie pratiche via internet non servirebbe ad evitare di recarsi materialmente in municipio? Si, con preziosi risparmi di tempo. Provare a valorizzare buone idee già sperimentate da altri, senza la paura di fare diverso da “come si è sempre fatto”, non potrebbe farci beneficiare di vantaggi oggi sconosciuti? Si. Ma dove troviamo buone idee? Ad esempio, facendo aderire l’Unione all’Associazione dei Comuni Virtuosi, ottimo laboratorio di sperimentazioni. Poi, fondamentale sarebbe prendere dagli organici dei municipi le capacità migliori per farle lavorare in squadra e partecipare a bandi utili ad ottenere contributi. Nel sociale, mantenere pubblica la Casa di riposo Santanera e metterla in grado di dare agli anziani assistenza domiciliare diffusa, anche attraverso un monitoraggio di chi vive da solo fatto attraverso il volontariato. Chiedere al Cogesa, il consorzio dei servizi socio assistenziali, di ampliare il proprio ruolo e di renderlo più completo rispetto alle esigenze odierne. E il Cogesa è un ente che dovrebbe essere governato dai Comuni ma in realtà non è così, vista la totale debolezza e divisione dei piccoli Comuni. Costruire una rete di solidarietà territoriale che permetta di aiutare quanti si trovano in difficoltà reale, integrando il ruolo dei Comuni con quello del volontariato. A tal proposito, molto importanti sarebbero i servizi che dovrebbero trovare posto nella “casa della salute”. Se mai ce ne saranno. Fino ad ora, tutto tace e i Comuni non chiedono… Preparare un progetto economico di territorio che premi chi vuole fare innovazione nella produzione e nei servizi. Attuare una gestione attenta delle risorse comunali perché le tasse devono essere pagate da tutti e chi non può deve dare lavoro in cambio. Ridurre i costi dei rifiuti attraverso l’incentivo a favore di chi fa cose nuove per non produrli. Fare investimenti nel risparmio energetico degli edifici pubblici e della pubblica illuminazione: la vera opera pubblica dei prossimi anni perché consentirebbero di risparmiare soldi oggi buttati via.

E LA CULTURA?

Come ho già accennato, è uno dei passi fondamentali per un cambiamento che dia risultati e che tocchi più aspetti della vita civile. Dalla scuola pubblica al ruolo delle Biblioteche o delle associazioni, per creare nuove occasioni di conoscenza e di dibattito. I Comuni, con l’Unione, possono stimolare questo processo e diventarne parte attiva. Oggi la gente non sa nemmeno cos’è l’Unione. Per tanti anni, la Valtriversa si è ben guardata dallo spiegare alla popolazione il suo ruolo perché gli amministratori erano i primi a non credere nell’Unione. Perché non insegnare quell’educazione civica che la scuola ha dimenticato? Perché non diffondere la cultura della prevenzione? Sarebbe uno dei sistemi migliori per dare sicurezza sotto più forme al territorio. Perché non creare situazioni che consentano di conoscere chi è di nazionalità diversa? Perché non creare situazioni di conoscenza e approfondimento della storia recente, cioè quella che ha portato alla situazione odierna e di cui tanti non sanno nulla? Quanti sanno cosa capita in Comune? O quali siano le difficoltà di casa di riposo e asilo? Pochi. E diffondere i consigli comunali via internet? E fare dei siti municipali che siano facili da consultare e ricchi di notizie? Una comunità disinformata sarà sempre una comunità senza idee, che non partecipa.

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