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Il direttore del Cogesa, il consorzio per i servizi socio assistenziali che raggruppa i Comuni del nord astigiano, mi scrive in replica all’articolo sulla situazione della famiglia Idda. Ospito volentieri la sua risposta. Cliccate qui sotto per leggerla:
la lettera del direttore del Cogesa
Ora, però, non posso fare a meno di constatare che il direttore cerchi di dare alle mie parole un senso tutto a suo uso e consumo.
In sintesi, i fatti. La famiglia Idda ha un suo membro, il padre Pietro, affetto da tanti anni dalla sla, una grave malattia che lo ha reso totalmente invalido. Come documentato da un articolo apparso sul quotidiano “La Stampa”, la famiglia chiede un sostegno che le dia un po’ di respiro, dopo anni di vita condizionata in modo così pesante. Nell’articolo c’è un passaggio che attribuisce al direttore Botto la sollecitazione rivolta alla famiglia di risparmiare sulla pensione per permettersi una badante. Io ho dichiarato di provare vergogna di fronte al servizio pubblico che umilia chi ha bisogno e non da soluzioni.
Botto, che non nega l’episodio, vorrebbe farmi apparire come quello che critica e denigra il Cogesa con accuse senza fondamento. Premesso che ho sempre pensato e detto che all’interno del consorzio lavorino persone che fanno tantissimo con pochi mezzi, credo che al direttore bruci che qualcuno chieda conto dell’operato della dirigenza del suo ente, politica e tecnica. Il tono della lettera, che passa da un patetico paternalismo buonista allo scandalizzato per poi chiudere con una nemmeno troppo velata intimidazione, la dice lunga. Caro direttore, io sono un consigliere comunale e ho il diritto di chiedere conto sull’operato del Cogesa e dei suoi rappresentanti, come ha il diritto di farlo anche qualunque libero cittadino. Chi è nel servizio pubblico deve rispondere e spiegare.
Il Cogesa è un ente strumentale dei Comuni e come tale non deve assumere una vita autonoma. Deve dialogare con gli stessi in modo molto stretto e continuativo per affrontare nel concreto i tanti problemi che ci sono nei nostri paesi. Oggi il dialogo è solo formale. Fare sociale ha tanti aspetti. Citiamone solo alcuni: i molti anziani che vivono soli, le crescenti difficoltà delle case di riposo, le tante famiglie in condizioni di povertà anche a causa di una crisi economica che ha colpito duramente l’astigiano, l’integrazione di chi è straniero, il disagio giovanile, l’invalidità in tutte le sue forme. Mi sembra già di sentire la risposta: “non ci sono soldi”, facile scusa per crearsi un alibi e cavarsi d’impiccio. La lettera di Botto usa questa giustificazione. Se non ci sono soldi, il Cogesa operi per creare una rete di solidarietà attorno a chi è debole. Facendo lavorare insieme enti, Comuni, comunità collinari, Asl, Provincia, Regione, volontariato, medici di famiglia (realtà che quasi mai si parlano) si possono creare potenzialità notevoli. Basti solo pensare, ad esempio, all’utilità di dare ad un soggetto debole l’informazione giusta comprensibile e gli strumenti per accedere ad un determinato servizio, ad una facilitazione o ad un contributo, anche se non sono di competenza stretta del Cogesa ma di altri enti. Chi rappresenta il servizio pubblico deve dare soluzioni perché i suoi datori di lavoro sono i cittadini.
Poi, spieghi a tutti noi, direttore, come si fa a pagare una badante con l’assegno di accompagnamento. Lei forse non sa quello che costa una badante in regola, meglio due visto che parliamo di un invalido totale da assistere 24 ore su 24. Perché il Cogesa non sollecita i Comuni a far sentire la loro voce in Regione per chiedere lo sblocco dei fondi per la cura della sla, stanziati dalla giunta Bresso e ancora bloccati? Meglio costringere i malati ad incatenarsi davanti alla sede della Regione, come è successo a giugno?