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sabato, 18 Maggio 2024

Dove eravamo rimasti?

Dopo due anni complicati, sono contento di riprendere il dialogo con voi.

Ho iniziato a scrivere queste righe il 25 aprile scorso. Credo nel significato di questa data. Il giorno della Liberazione dal fascismo e dal nazismo.

È ancora attuale ricordarlo?

Si. Ne sono convinto. In tutti gli ambiti della politica, dal più alto al locale, assistiamo alla progressiva riduzione degli spazi di confronto. Non si vuole il dissenso. Non si vogliono domande che disturbano.  La diversità è un fastidio. Va ignorata e combattuta con tutti i mezzi. Anche con gli attacchi personali. Passa la convinzione che il pensiero debba essere “unico”.  Un pensiero che viene ripetuto in tante trasmissioni televisive. Nei telegiornali. Sui giornali. Sui siti internet, strapieni di pubblicità, dove la presunta informazione si traduce in comunicati stampa di chi esercita il potere politico, pubblicati in modo acritico.  Sui social, il cui linguaggio, per la stessa natura del mezzo, deve provocare emozione non ragionamento. Poi c’è l’autocensura di giornalisti o presunti tali. Professionisti o amatoriali. “Tengono famiglia” e magari, chissà, qualcuno, dal potente personaggio al più modesto podestà locale, si potrebbe “arrabbiare”.

Torna il fascismo?

Non quello in camicia nera, che si limita a dare spettacolo in qualche occasione, sempre indisturbato. Torna quello strisciante e diffuso dell’intolleranza. Di una classe politica scadente e spesso ignorante che si sente padrona. Che quando viene colta in fallo grida al complotto e fa la vittima, lamentandosi che l’immagine che ha di sé e che vorrebbe far passare al popolo viene alterata, compromessa, veicolata in un modo diverso da quello che sperava. Una classe politica che non conosce la cultura della democrazia. Che rifiuta il confronto. Un fascismo nei fatti che ama la persona sola al comando, uomo o donna che sia. Un fascismo che era solo nascosto e poi, per un po’, finta opposizione al sistema.

Quali anticorpi dovrebbe avere una sana democrazia?

Una stampa cane da guardia del potere. Per Papa Francesco “La libertà di stampa è fondamentale per sviluppare un assennato senso critico e per imparare a distinguere la verità dalla menzogna e a lavorare in maniera non ideologica per la giustizia, la pace e il rispetto del creato”. Quasi in contemporanea, alla cerimonia per il David di Donatello 2024, riferendosi al ruolo dei giovani artisti, il Presidente Mattarella ha detto “devono poter provare, sperimentare, dunque formarsi e crescere. L’ingresso di nuove generazioni produce nuova ricchezza. Esprime libertà, quella libertà da assicurare anche a chi non condivide i nostri gusti, a chi la pensa diversamente”. Due autorevoli voci che hanno fatto un richiamo forte e chiaro in favore della libertà di espressione. L’ultimo indice sulla libertà di stampa mondiale prodotto da Reporter Senza Frontiere evidenzia come molti governi e la politica non proteggano il libero lavoro dei giornalisti e il diritto dei cittadini a essere informati. Significativo che l’Italia sia retrocessa di cinque posizioni, al 46° posto, in compagnia di paesi problematici dell’est Europa e varie nazioni africane.

Servirebbero corpi sociali intermedi attivi che si dedichino all’impegno civile. Associazioni, partiti, movimenti, sindacati: dovrebbero essere punto di incontro di persone che si guardano in faccia. Persone che discutono e elaborano idee perché animate da volontariato militante. Della stampa abbiamo già detto. Il giornalismo d’inchiesta si riduce a pochi meritevoli esempi, sovente sotto attacco. I partiti sono spesso comitati elettorali di leader che li considerano un fatto personale. Mettere il nome del capo nel simbolo è sempre un pessimo segnale. Dalla lista per il piccolo Comune alle elezioni europee. Tante associazioni lamentano la crisi del volontariato. I movimenti nascono ma si spengono con troppa facilità. La voce del sindacato si sente sempre più con fatica.

C’è anche la scuola. Ma insegna ancora a pensare? A mettere in dubbio? È ancora capace di dare a tutti gli stessi strumenti e le stesse opportunità per progredire, come vorrebbe la Costituzione repubblicana?

Cosa si può fare?

Credo che tutti possiamo fare qualcosa. Nessuno di noi può cambiare il mondo ma tutti possiamo cambiare qualcosa nel pezzo di mondo dove viviamo. Ricreiamo luoghi di incontro per confrontarci e elaborare idee. Facciamoci domande e pretendiamo risposte da chi comanda, a qualsiasi livello. Informiamoci. Formiamo una nuova classe politica, preparata e con voglia di innovazione, che rispetti i cittadini, li coinvolga e dia loro conto del suo operato. Diamo una mano a chi si espone. Senza aver paura del confronto, anche duro purché leale. Dalle differenze nascono le cose migliori. Chiediamoci cosa serva alle nostre Comunità.  Come le vorremmo nei prossimi anni. Dove siamo disposti a investire. Tutte cose che possono partire dal basso.

Per esempio?

Crediamo nello sviluppo dei servizi sociali o li consideriamo un costo inutile? Crediamo che debbano essere pubblici o appaltati ai privati? La Comunità locale deve occuparsi dei soggetti deboli? Deve accompagnarli e motivarli a essere attivi nella risoluzione dei loro problemi? L’anziano, il giovane, il disabile, il malato mentale, il disoccupato sono persone che meritano rispetto o un fastidio da evitare?

Crediamo nell’ambiente casa di tutti da difendere o lo consideriamo una risorsa da sfruttare?

Crediamo nella cultura e nella conoscenza o la consideriamo uno sfizio da benpensanti?

I nostri paesi, nell’astigiano sono tutti piccoli, devono collaborare tra loro per costruire un nuovo ordine amministrativo o rimanere chiusi in un comodo campanilismo?

Valuteremo le scelte politiche per la loro concretezza? Per il rapporto tra costi economici, sociali e ambientali  e gli effettivi risultati? Oppure ci limiteremo a prendere per buoni gli annunci da campagna elettorale?

I programmi, dai quali fra poche settimane saremo inondati, saranno ancora manifesti di cui gli eletti e cittadini si dimenticheranno il giorno dopo le elezioni o impegni da onorare?

Come sceglieremo per chi votare? Per simpatia? Per presunta amicizia? Oppure per il contenuto delle sue proposte e la trasparenza del suo comportamento?

La democrazia non è  un fatto scontato. Non è conquistata per sempre. Se nelle persone prevale l’indifferenza, il sistema si incrina e la democrazia muore.

Ho apprezzato particolarmente Roberta Franco, sindaco di Cantarana, nel suo intervento in occasione della commemorazione del 25 aprile. Ha citato Antonio Gramsci e le sue parole contro l’indifferenza. Le riporto per intero. Sono state scritte nel 1917 ma sono sempre e più che mai attuali. Parole dalle quali, credo, bisogna ripartire:

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

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